Polpettine in brodo: rivisitare la tradizione con il finocchietto



Per il Calendario del cibo italiano promosso da
AIFB (Associazione Italiana Food Blogger)
di cui faccio parte, il 31 agosto è la


Ci parla di queste erbe rustiche e profumatissime, onnipresenti soprattutto nel sud Italia, la nostra socia e amica Valentina De Felice del blog



Il mio contributo a questa giornata si concentra sul finocchietto: uno dei profumi della Sardegna insieme all’elicriso, al cisto e al mirto. Onnipresente nei prati, nelle cunette, nelle zone retrodunali, ma anche in collina tra le vigne e in montagna tra gli alberi da frutta. Gli steli sottili e coriacei possono portare i vivaci ombrelli gialli ben oltre l’altezza media di una persona e raccoglierli per poi utilizzarli in cucina, freschi o dopo averli fatti seccare, è davvero uno dei piaceri dell’estate: si torna a casa con le mani profumate e un fagotto di sole dentro la macchina. 

Naturalmente il finocchietto si usa moltissimo in primavera, quando i germogli e le foglie tenere e piumose sono ingrediente indispensabile per molte preparazioni tradizionali. Una per tutte: la favata sassarese, ovvero un grande “piatto unico” cucinato con fave, parti meno nobili del maiale e tanto, tanto finocchietto fresco. Un piatto non leggerissimo, ma ottimo e irrinunciabile almeno una volta l’anno.

La mia proposta è una interpretazione personalissima di una zuppa alla quale il finocchietto aggiunge profumo alleggerendo l’insieme. In genere si prepara alternando strati di pane carasau (o spianata – altro pane tipico – fatta seccare) con quelli di carne di pecora e formaggio (fresco a fettine o stagionato grattugiato), per poi riempire la teglia di brodo di pecora e far cuocere in forno fino a doratura dello strato superiore. 
Alcuni la fanno “in rosso” (aggiungono pomodoro alla carne in una sorta di ragù), altri in bianco. 
Io l’ho fatta in polpette. Ho rispettato gli ingredienti, ma non la forma. Ecco cosa ho fatto per sfamare almeno 8 persone.
 

Ho usato per ottenere del buon brodo:

500 g di carne di pecora sgrassata
500 g di ossi di pecora possibilmente con il midollo
1 grossa carota
due coste di sedano
1 piccola cipolla
un mazzetto di finocchietto (gambi e fiori)

Per le polpette mi sono serviti:

150 g di carne lessata di pecora
150 g di pecorino piuttosto fresco
150 g di pane carasau
sale, pepe

Per completare ho usato:

fiori di finocchietto secchi


Ho messo sul fuoco almeno 4 l di acqua con sedano, carota, cipolla e finocchietto. Non ho aggiunto sale in questo momento. Quando l’acqua ha iniziato a bollire ho immerso la carne e gli ossi di pecora e ho lasciato cuocere per circa 2 ore a fuoco dolcissimo schiumando di tanto in tanto.

Non vi servirà né tutto il brodo né tutta la carne, ma, una volta che vi ci mettete (il tempo che occorre è parecchio e l’aroma del brodo è piuttosto insistente), tanto vale abbondare: il brodo si può bere il giorno dopo o surgelare; la carne avanzata è perfetta per un’insalata con pomodori maturi e cipolle rosse, oppure per un sugo.

Quando la carne è risultata ben cotta l’ho estratta dal brodo e l’ho sminuzzata, tenendo da parte quella utile alla preparazione e riponendo l’altra. Gli ossi e le verdure li ho gettati. Il brodo l’ho filtrato ripetutamente e fatto raffreddare completamente (anche in frigorifero) in modo che l’eventuale grasso si solidificasse e si potesse eliminare con un’ulteriore filtratura.

Ho inserito la carne, il formaggio a pezzetti, il pane sbriciolato e un mestolino di brodo nel vaso grande del mixer elettrico. Ho aggiunto poco sale e poco pepe macinato al momento e ho azionato prima a scatti e poi a lungo per ottenere un composto molto fine. Con questo composto ho formato tante polpettine rotonde di grandezza omogenea (almeno 12 per commensale) e le ho lasciate riposare in frigorifero per un paio d’ore.



Ho scaldato il brodo filtrato; al primo bollore ci ho fatto scivolare le polpettine – poche per volta – estraendole dopo un paio di minuti e sistemandole nei piatti. Ho riportato a bollore il brodo, quindi ne ho versato un paio di mestoli per ogni piatto, ho spolverizzato con i fiori di finocchietto essiccato e ho servito immediatamente.



Di pecore e di come trattarle (in cucina)


La pecora – dalla quale in Sardegna discendono sia i selvatici mufloni, sia la pecora Sarda moderna, sia la pecora Nera di Arbus – fu addomesticata quasi sicuramente in epoca neolitica, qualcosa come diecimila anni fa.

 

I mufloni e le pecore odierne discendono quindi da un medesimo ceppo: i mufloni, anzi, sono probabilmente delle pecore re-inselvatichite, che si sono poi evolute adattandosi allo stato selvaggio, mentre le pecore domestiche venivano via via plasmate dalla mano dell’uomo.

 

Attualmente la razza Sarda, selezionata a più riprese e con tecniche sempre più sofisticate a partire dagli anni ’20 del XX secolo, è quella più diffusa in Italia ed è ricercata principalmente per il latte, che è sempre di ottima qualità. I dati Istat parlano di 4milioni e 700mila capi in Italia, dei quali 3milioni e 260mila nella sola Sardegna (2milioni e 900mila sono femmine). 

 

 

Una pecora femmina adulta mediamente pesa quaranta chili, mediamente diventa madre più volte l’anno (ma di un solo bebè per volta) e, mediamente, produce un litro di latte al giorno; ha lana poco pregiata ma resistente ed è praticamente onnipresente sui 24mila chilometri quadrati dell’isola. No, esagero: in certe zone montane le pecore faticano e sono degnamente sostituite dalle agili e rustiche capre; però si può ben dire che pensare alla Sardegna senza pensare alle pecore è impossibile. E dalle pecore il pensiero va al formaggio. 

 

Il pensiero è meno automatico quando invece si parla di utilizzarne la carne in cucina. In genere si preferisce l’agnello - che in Sardegna gode della Igp - , che viene cucinato con i carciofi, arrosto, in spezzatino, con le olive, ma anche in modo meno tradizionale, più leggero e sfizioso, elaborato dai grandi cuochi. La carne di pecora adulta è considerata un po’ “grossolana” e, quasi sempre, relegata alle feste campestri dove viene cucinata bollita in enormi calderoni con cipolle e patate. 

 

La tradizione di questa preparazione è da ricercarsi nelle feste della tosatura (a seconda delle zone: tunditura, tudimenta, tusòriu, tundidròxiu), che si tenevano nelle campagne alla fine dalla primavera, quando il pastore e la sua famiglia offrivano il pranzo a chi prestava il proprio aiuto nelle operazioni relative alla raccolta delle greggi, la tosatura vera e propria e al lavaggio dei velli. 

 

Oppure alle feste che si tenevano al termine di una novena, presso i santuari campestri, dove veniva cucinata – in umido o arrosto – anche sa cordula: gli intestini intrecciati, o sa tratalia: fegato polmone milza e cuore. Ovviamente in queste occasioni si utilizzavano pecore vecchiotte, poco produttive, che avevano terminato il loro ciclo vitale o avevano subito qualche incidente a causa del quale non potevano più seguire il gregge. 

 

Il brodo di pecora era (ed è) poi utilizzato  nella gastronomia tradizionale per cuocere su filindeu, la specialissima pasta tipica del nuorese, o per completare la zuppa gallurese, fatta di pane e formaggio. Molti però non amano né la carne né il brodo, lamentandosi per il sapore piuttosto deciso e la sensazione di grassezza che trasmettono.

In realtà la carne di pecora è assai più versatile di quanto si pensi e il brodo molto più piacevole di quanto si immagini. 

 

 

 

Certamente ci si deve impegnare un po’ di più quando la si cucina, in effetti l’odore piuttosto forte è inevitabile, ma giovani e bravissimi cuochi come Roberto Serra, del ristorante tradizionale Su carduleu di Abbasanta, o Gian Luca Del Rio, del ristorante La Rosa dei Venti di Sennariolo, dimostrano che la pecora non è solo “pecora bollita”. Roberto la propone addirittura cruda, in un delicatissimo carpaccio e Gian Luca delizia i suoi ospiti con la carne fritta cosparsa di scorza d’arancia. 

 

 

Il mio macellaio di fiducia, signor Pietro, offre un salsiccione di pecora condito con semplice aglio, prezzemolo, pochissimi sale e peperoncino che è perfetto sia sulla grigia, sia in umido, sia sgranato per farne un sugo. Una meraviglia! 

 

 

Io, dal canto mio uso la carne di pecora secondo l’ispirazione del momento. La cucino con i capperi e i fagioli come in questa ricetta: Stufato "mediterraneo" di pecora con fagioli bianchi. Oppure, come di recente, la faccio lessare e poi ne ricavo polpette mischiandola con pane carasau ammollato nel brodo (di pecora, ovviamente!) e formaggio, aromatizzando il tutto con il finocchietto fresco. Ma uso anche il macinato per confezionare una specie di ragù, arricchito da pezzetti di melanzane, per condire la pasta.

 



Se desiderate approfondire "l'argomento pecora", vi consiglio i saggi (alcuni molto tecnici) raccolti nel bel volume, edito da Ilisso nel 2015, dal titolo "Formaggio e pastoralismo in Sardegna"


Bocconcini di dentice e zucchine

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La parte era “il precoda”; lo spessore cinque centimetri. Una fettona di pesce perfetta, soda, profumata. Un dentice di circa undici chili appena pescato dai giovani amici Francesco e Giacomo, porzionato e distribuito a un ristretto numero di fortunati. Tra i quali io! Sono un’Orata felice.

Per 4 persone:

circa 1 kg di polpa di dentice pulita
2 zucchine grandi
8 patate novelle medio-piccole
2 spicchi d’aglio
olio extravergine di oliva
sale



Lavare bene le patate senza sbucciarle, ricavarne sottili fette rotonde con la mandolina e immergerle in una ciotola con acqua molto fredda. Lasciarle riposare per circa 10 minuti, quindi sciacquarle e asciugarle.

Scaldare un paio di cucchiai d’olio insieme a uno spicchio d’aglio sbucciato e schiacciato in una padella o – meglio – in un wok piuttosto capiente.

Gettarvi le patate e lasciarle cuocere muovendole spesso fino a che non saranno ben dorate.

Dopo aver pulito il pesce dalla pelle, facendo attenzione alle squame che possono essere taglienti e averlo privato della lisca centrale (che val la pena conservare con un po’ di polpa attaccata per preparare del brodo), suddividere la polpa in 20 pezzi regolari.

Mondare le zucchine e ricavarne 20 fette sottili e regolari utilizzando una mandolina. Se ci sono scarti, ridurli in una dadolata e farli saltare in padella con poco olio e uno spicchio d’aglio e utilizzarli come contorno come ho fatto io.

Avvolgere ogni pezzo di pesce in una fetta di zucchina e fermare con uno stuzzicadenti.
Adagiare i pezzi di pesce in un solo strato in una casseruola dal fondo molto spesso dotata di un coperchio che tenga bene. Emulsionare un cucchiaio d’olio con uno di acqua e versare sopra il pesce. Accendere il fornello, chiudere con il coperchio e cuocere non più di 5 minuti.


Disporre 5 pezzi di pesce su ogni piatto, aggiungere le patate e le eventuali zucchine, salare pochissimo e servire immediatamente.