Risotto con asparagi e pesto di pistacchi

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Di corsa, perché gli asparagi sono proprio gli ultimissimi! I pistacchi, invece, arrivano direttamente dalla Sicilia e sono quanto di più verde e saporito si possa immaginare. E il basilico arriva direttamente dal terrazzino, dove cresce a vista d'occhio. Tutto verde, insomma: il colore dell’inizio dell’estate. Infatti dall’ortolano ci sono già le prime zucchine di campo e persino i cetrioli; questo anche se il tempo negli ultimi giorni qui sull’isola è quantomeno incerto. Ora, per esempio, soffia un venticello che definirei molesto...

Per due persone:

1 l di brodo vegetale
200 g di asparagi di Sardegna freschi
160 g di riso Carnaroli (di Sardegna)
cipolla bianca
olio e burro
vino bianco secco
sale e pepe
due manciate di foglie di basilico
50 g di pecorino grattugiato
una manciata di pistacchi di Bronte
olio
1 spicchio d’aglio



Preparare il brodo vegetale facendo sobbollire per circa mezz’ora acqua con sedano, carote, una guaina di cipolla e, volendo, un pomodoro, più un pizzico di sale. Quindi filtrarlo.

Mondare gli asparagi. Tenere intere le punte e tagliare i gambi a rondelle sottili.

Tritare poca cipolla bianca, farla appassire in olio e burro, quindi gettare il riso e tostarlo. Bagnare con un poco di vino bianco, farlo evaporare, quindi coprire di brodo vegetale (che deve essere aggiunto bollente) e far cuocere per circa 5 minuti mescolando. Aggiungere gli asparagi e procedere fino a cottura aggiungendo poco brodo per volta e mescolando spesso.

Nel frattempo, in un piccolo pentolino far bollire a fuoco vivace un mestolo di brodo vegetale, gettarvi uno spicchio d’aglio sbucciato ma intero e cuocerlo per circa 5 minuti. 

Nel bicchiere del frullatore unire il basilico, i pistacchi, il pecorino, lo spicchio d’aglio con il brodo in cui lo avete fatto cuocere, un po’ d’olio. Azionare il frullatore a scatti e aggiungere olio fino a che non si abbia una salsa morbida. Aggiustare di sale e pepe solo se serve (dipende da quanto è saporito il formaggio utilizzato).

Quando il risotto è pronto allontanarlo dal fuoco, aggiungere una noce di burro fresco e il “pesto” di pistacchi, mescolare bene fino a che non sia tutto amalgamato e servire.



Quando un fagiolo entra nell'ingranaggio


Salva la biodiversità, salva il pianeta. Carlo Petrini lo ha detto anche l’altro giorno a Milano - ma lo ripete da una vita - ed è una delle cose sulle quali ha più ragione. A Terraseo, minuscola frazione di Narcao, ci stanno provando a salvare questo pianeta, perché anche un angolo di Sulcis (Sardegna, per chi non lo sapesse) può fare la sua parte.

Ci stanno provando mettendo insieme un Consorzio di produttori di fagioli con il sostegno del Comune di Narcao. Comune che, prima di partire, ha voluto avere le idee chiare sulla propria ricchezza in tema di biodiversità commissionando uno studio storico ed etnografico all’antropologa Alessandra Guigoni, la quale ha collaborato, per la parte tecnica, con Agris, Laore e Università di Sassari.

Come tutti i fagioli, anche questo piccolo legume candido e ovale venne dalle Americhe alcuni secoli fa insieme a molte altre piante commestibili, che sono tanto comuni e indispensabili da farci credere di... averle inventate noi (cosa sarebbe la cucina italiana senza pomodoro?), e trovò casa nei fertili orti di Terraseo.



I contadini lo accolsero bene e ne fecero subito un prodotto essenziale per la sussistenza delle famiglie locali. 
Stessa sorte dev’essere toccata a diverse altre varietà di fagioli in Sardegna: tanto è vero che a oggi se ne possono distinguere oltre centoventi e ancora si studia sia per tracciare con precisione la mappa genetica di quelle conosciute, sia per scoprirne altre.   

In tempi moderni, però, proprio le sue caratteristiche – misura ridotta, poca produttività delle piante, malgrado l’ottima qualità del seme, che è dolce e delicato – lo hanno messo a rischio di estinzione. Non era più economico piantarlo e raccoglierlo.
Qualcuno, che probabilmente non aveva mai sentito parlare di “biodiversità”, ma che aveva a cuore il mantenimento della propria tradizione, del proprio diritto a piantare nel proprio orto quello che preferiva infischiandosene dei meccanismi economici del resto del mondo, ha continuato negli anni ad affidare alla terra il patrimonio genetico di quello specifico fagiolo. E ha continuato a consumarlo come sempre, con la fregula o con qualche altra meravigliosa pasta “di casa”, e a conservarne un po’ per l’anno successivo.

A questo qualcuno dobbiamo dire grazie, perché oggi gli agricoltori di Terraseo, con tutto l’aiuto che la modernità può dar loro, hanno ripreso a coltivare questo fagiolo bianco e hanno sentito l’esigenza di riunirsi in un Consorzio.

In ogni caso il fagiolo di Terraseo un riconoscimento l’ha già avuto: dal 2013 è, con altre centottantatrè* specialità sarde, Prodotto tradizionale della regione Sardegna, ovvero uno di quei "prodotti agroalimentari le cui procedure di lavorazione, conservazione e stagionatura risultano consolidate nel tempo e comunque per un periodo non inferiore ai venticinque anni” secondo il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.



E c’è un altro importante riconoscimento raggiunto: l’essere inserito tra le specialità servite nei migliori ristoranti dell’isola (Luigi Pomata presenta il suo proverbiale tonno su un letto di Fagioli bianchi di Terraseo) e nell’essere ormai parte integrante della gastronomia locale, in onore della quale si organizzano fiere e degustazioni.


*Elenco aggiornato il 5 giugno 2014

Bibliografia:

  • Alessandra Guigoni, Alla scoperta dell'America in Sardegna: vegetali americani nell'alimentazione sarda, AM&D 2009

  • http://www.sardegnaagricoltura.it/index.php?xsl=443&s=183876&v=2&c=3535

Per saperne di più:




Gnocchetti con asparagi e crema di formaggio erborinato



Il formaggio erborinato di latte di pecora che si produce da queste parti è ottimo, ma esiste un momento oltre il quale la stagionatura lo rende – per me - immangiabile da solo. Il sapore diventa - sempre per me, è ovvio – eccessivamente marcato e apprezzarlo diventa troppo difficile. L’unico modo per continuare a consumarlo è mischiarlo, in modo più o meno fantasioso, con altri formaggi o latticini e utilizzarlo per cucinare.

Per due persone:

180 g circa di gnocchetti sardi di grano duro varietà Cappelli
200 g circa di asparagi di Sardegna* verdi già mondati
50 g di formaggio erborinato di pecora
50 g di yogurt greco molto denso
50 g di ricotta di pecora
aglio
olio
sale



Ovviamente le quantità sono indicative; per me questo era un piatto unico per il pranzo, quindi calcolate le quantità secondo le vostre esigenze (di fame e di circostanza).

Fatte salve le punte, tagliare gli asparagi a rondelle sottili. Tritare uno spicchio d’aglio, farlo appassire in olio, quindi gettarvi gli asparagi (punte comprese) e mescolare per alcuni minuti. Bagnare con pochissima acqua e farli stufare, coperti, a fuoco dolcissimo. Quando saranno teneri spegnere il fuoco e tenerli da parte al caldo.

Mentre cuoce la pasta nella canonica abbondante acqua salata, mescolare in una zuppiera il formaggio erborinato con la ricotta e lo yogurt utilizzando una forchetta e insistendo fino a che non si sarà ottenuta una crema omogenea. Se occorre aggiungere pochissimo olio. Non servono né sale né pepe, poiché il formaggio di pecora è già molto saporito di suo.

Al momento di scolare la pasta, versare nella zuppiera gli asparagi e un mestolino di acqua di cottura. Unire anche gli gnocchetti, mescolare bene e servire immediatamente.



* La pianta dell'asparago (famiglia delle Liliacee) molto probabilmente è originaria della Mesopotamia. Teofrasto, più o meno nel 300 a.C., lo cita in una sua opera e, più o meno un secolo dopo, Catone il Vecchio ne parla diffusamente - descrivendo anche le tecniche colturali - nel suo "De agricoltura". Solo nel Medioevo però se ne diffonde davvero la coltivazione, prima in Europa, poi nelle colonie oltremare e, in tempi moderni, di ritorno in Europa con le varietà selezionate in California.
In Sardegna la coltivazione dell'asparago è cosa antichissima e si è sviluppata "addomesticando" i turioni selvatici acutifolius e albus, che si sono trasformati in "officinalis".
Laore ha supervisionato gli impianti di "campi sperimentali di orientamento" nel Campidano circa 20 anni fa.

 
Oggi i produttori sardi sono circa 150 e la coltivazione si estende su circa 190 ettari.
L'amica Alessandra Guigoni, antropologa, dice: "L'asparago sardo è prodotto ancora poco conosciuto rispetto a ciò che vale e che merita un'attenta valorizzazione e un marchio che consenta agli agricoltori di venderlo al giusto prezzo e con soddisfazione, ma anche ai consumatori di comperarlo ad occhi chiusi in quanto certificato "made in Sardinia".
Fare un piccolo sforzo e cercare dall'ortolano questo prodotto "made in Sardinia" val davvero la pena!

Fregula con fave e bottarga



Tempo di fave... e di basilico. La piantagione “basilico 2015” sul terrazzino va alla grande. Chissà che quest’anno io abbia azzeccato varietà, posizione e tempistica e possa raccogliere le profumatissime foglie per tutta la stagione (l’anno scorso fu un disastro)!



Piatto unico:

Fave fresche
fregula fatta in casa
bottarga di muggine grattugiata al momento
aglio
olio
basilico
menta
yogurt greco
sale e pepe bianco

Grattugiare uno spicchio d’aglio e appassirlo in olio in una casseruola. Nel frattempo scaldare dell’acqua in un secondo pentolino.

Gettare le fave nell’olio caldo, mescolare per un paio di minuti, quindi coprire i legumi con l’acqua bollente e lasciarli stufare a fuoco dolcissimo.

Dopo circa venti minuti le fave saranno molto tenere e l’acqua sarà quasi tutta consumata. Aggiungerne un mestolino, quindi passare velocemente con il frullino a immersione. Non insistere troppo: non devono diventare proprio una crema, ma solo spappolarsi un po’.

Aggiungere menta e basilico a piacere - freschissimi e spezzettati - poi salare leggermente e allontanare dal fuoco.



Cuocere molto al dente la fregula in acqua leggermente salata, quindi trasferirla nella casseruola con le fave aggiungendo un mestolino di acqua di cottura. 

Rimettere il tutto sul fuoco, aggiungere anche un cucchiaio di yogurt greco e bottarga grattugiata a piacere. Assaggiare e regolare di sale, poi aggiungere un po’ di pepe bianco macinato al momento. 

Portare a termine la cottura della fregula mescolando continuamente. Irrorare con un filo di extravergine a crudo e servire.


Stufato "mediterraneo" di pecora con fagioli bianchi



Di carne di pecora questo blog è pieno. E non è difficile da capire considerato che non sono vegetariana e vivo su un’isola la cui popolazione ovina eccede ampiamente quella umana: il Censimento Generale dell’Agricoltura del 2010 parla di oltre 3milioni di capi contro 1milione e 600mila umani!
Dunque la pecora rientra nella mia dieta e in quella della famiglia. Non solo; capita - nemmeno tanto raramente - di riceverla in regalo come segno di stima, come ringraziamento per un piccolo favore fatto, per puro spirito di condivisione. Così è accaduto anche questa volta: mi sono ritrovata una borsa frigo piena di carne sul sedile dell’auto.



Carne di pecora (mista: ovvero non solo polpa)
fagioli bianchi*
aglio
cipolla bionda
pomodori secchi
capperi di Selargius sotto sale
olio extravergine di oliva
peperoncino secco sminuzzato
vino bianco Vermentino (o similare)
brodo vegetale

Per prima cosa dissalare con cura i capperi, lasciandoli anche a bagno in acqua tiepida (da cambiare più volte) con un po’ di aceto bianco.

Precuocere per circa mezz’ora i fagioli in acqua, senza aggiungere sale.

Affettare sottilissima la cipolla e tritare l’aglio; sciacquare i pomodori secchi e sminuzzarli. Gettare il tutto in abbondante olio in una casseruola dal fondo spesso e, dopo una veloce rosolatura, far appassire bagnando con il vino.

Quando la cipolla sarà trasparente e il sughetto sarà di un bel colore rosso, recuperare aglio, cipolla e pomodori e tenerli da parte. Alzare il fuoco e sistemare i pezzi di carne nella casseruola e farli ben rosolare nell’olio aromatizzato rigirandoli da ogni parte.

Bagnare con un altro po’ di vino, aggiungere il soffritto conservato, unire i capperi e far cuocere lentamente, aggiungendo di tanto in tanto un po’ di brodo vegetale, per circa 20 minuti.

A questo punto unire il peperoncino e i fagioli già semi-cotti e lasciar cuocere (sempre bagnando con poco brodo per volta) per circa 40 minuti.

La ricetta non prevede sale: bastano i capperi e i pomodori secchi.



* potete utilizzare dei cannellini di buona qualità: io ho usato dei fagioli di una varietà sarda diffusa in alcuni paesi del nuorese

 

Alisanzas di grano saraceno al pesto di erbette

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Immagino vi sarete già accorti che ultimamente sto facendo esperimenti con le “farine alternative”. Quella di grano saraceno non è una novità per questo blog, ma non l’avevo mai utilizzata per fare la pasta, per giunta unita a quella di riso. 
Ci ho provato e i risultati sono stati soddisfacenti; la pasta è risultata un po’ più difficile da maneggiare di quella tradizionale, ma il sapore è ottimo. La scelta del condimento è nata da un’associazione di idee: grano saraceno = pizzoccheri. Associazione che poi si è portata dietro aglio, erbette e formaggio. 
Ma, visto che di ovvio qui non c’è quasi nulla e che cerco di non avventurami mai nella preparazione di piatti tradizionali, ecco che sono uscite dalla cucina queste alisanzas (che altro non è che il nome sardo di un formato di pasta piatta – non ripiena e non tridimensionale – assimilabile a delle lasagnette o a delle pappardelle) condite con una salsa che prende ispirazione dal pesto ligure per la presenza di aglio, frutta secca, pecorino e olio in abbondanza.


Per quattro persone:
 
100 g di farina integrale di grano saraceno
50 g di farina bianca
50 g di farina di riso
acqua
olio
sale
+
un mazzo di erbette
2 spicchi d’aglio
1 manciata di mandorle sgusciate ma non sbucciate
Pecorino sardo Dop tipo maturo
olio
sale
pepe bianco




Setacciare insieme le tre farine direttamente sulla spianatoia, formare una fontana e versare al centro un paio di cucchiate di olio, un po’ di acqua tiepida e un pizzico di sale. Lavorare dapprima con una forchetta e poi impastare con le mani. Quando la pasta sarà liscia e omogenea (se occorre aggiungere un po’ di acqua in corso d’opera) formare una palla, avvolgerla in pellicola per alimenti e lasciarla riposare.

Nel frattempo mondare le erbette (bietole), lavarle e spezzettarle con le mani. Pigiarle nell’apposito cestello insieme a due spicchi di aglio e cuocerle a vapore. 

Spezzettare le mandorle con un coltello pesante e grattugiare il pecorino (ne servono almeno due cucchiai). Quando le erbette saranno cotte distenderle su carta da cucina perché si asciughino. Quindi riunirle con il pecorino, le mandorle e l’aglio (cotto a sua volta) nel bicchiere del frullatore; unire olio in abbondanza, un po’ di sale e un po’ di pepe e azionare a scatti. Si deve ottenere un composto abbastanza omogeneo, ma un po’ “rustico”, non una salsa troppo fluida. Versarlo in una ciotola capiente. 

Riprendere la pasta; dividerla in due e stenderla con il matterello. In questo caso sconsiglierei di utilizzare la macchinetta tirasfoglia, perché la pasta sarà piuttosto malleabile e il risultato del lavoro di matterello la renderà ancora più rustica; il che è quello che si vuole ottenere. Inoltre assottigliarla troppo la renderebbe decisamente troppo fragile con il rischio di scolare piccoli frammenti informi di pasta. Mangiabilissimi, per carità, ma non certo belli da vedere.
 
Tagliare poi, con una rotellina di ottone o un coltello affilato, la pasta in strisce abbastanza larghe e corte (tipo pappardelle); ovvero le alisanzas. Far bollire l’acqua per la pasta, salarla leggermente e cuocervi le alisanzas



Per tutto il tempo tenere la ciotola del “pesto” vicino ai fornelli per evitare che diventi troppo freddo. Versare la pasta nella ciotola con un mestolino di acqua di cottura; mescolare bene, impiattare e servire subitissimo. Volendo si può completare il tutto con una ulteriore spolverata di pecorino grattugiato.