Cosette di mais e quinoa



L’altro giorno sono entrata per la prima volta in un negozio, davanti al quale passo spessissimo, specializzato in alimenti biologici e per coloro che seguono particolari regimi alimentari. 
La titolare, molto gentile, tra una chiacchiera e l’altra mi ha illustrato i pregi delle farine “alternative” a quella prodotta con le diverse varietà di frumento e, alla fine, ho scelto di portarmi a casa del fioretto di mais e della farina di quinoa.

Ieri mattina ho cominciato a sperimentare. 
E mescola e aggiungi e pesa e impasta, alla fine ho prodotto delle... frittelle? No... schiacciatine? Focacce? Insomma delle “cosette” alternative al pane, con un loro sapore ben definito, che si adattano bene ad accompagnare salumi e formaggi, salse tipo tzatziki (fatto con lo yogurt della mia gastronomia greca preferita, ovviamente!) o chutney e – esperimento di questa mattina a colazione – anche il miele.

Per una decina di “cosette”

100 g di farina di mais fioretto
100 g di farina di quinoa
50 g di acqua
50 g di latte
un pizzico di sale
1 cucchiaio d’olio



Setacciare insieme le farine. Mescolare gli ingredienti liquidi e sciogliervi il sale.
In una ciotola unire gli ingredienti e lavorare dapprima con una forchetta, poi con le mani. 

Trasferire l’impasto sulla spianatoia di legno e lavorarlo ancora un po’ per renderlo più liscio e omogeneo possibile. Non diventerà elastico, ma sarà facilmente lavorabile. Dividere la massa in dieci parti di dimensioni omogenee.

A questo punto conviene utilizzare un tappetino in silicone, perché è quasi impossibile stendere questo tipo di pasta su una superficie di legno. Con un matterello ricavare delle sfoglie il più possibile rotonde e sottili. Eventualmente se ne possono regolare i bordi con una rotella tagliapasta.


Scaldare una padellina antiaderente di dimensioni adeguate e cuocervi le sfoglie da entrambe le parti  - rigirandole una sola volta - per alcuni minuti. 

Dovrete necessariamente “andare a occhio” e toglierle quando saranno ben dorate. Volendo si può ungere la padella di volta in volta con un poco di olio, ma non è strettamente necessario. Conservatele via via coperte con un panno e utilizzatele fredde.






Sa pizzuda cun gherdas di Tiana. Una specialità di famiglia


Una tra le - molte - specialità che si possono gustare con l'arrivo dei mesi freddi qui da noi sull'isola è il pane arricchito con i ciccioli di maiale (gerda, o gherda). Ce ne sono moltissime versioni diverse, alcune dolci, altre salate.

Il comune denominatore è che si tratta di pani festivi, adatti alle riunioni domenicali intorno al camino e decisamente saporiti. Si preparano in piccoli laboratori e panifici artigianali ma, se avete la fortuna di assaggiarne di fatti in casa, non ve ne scordate più.

Se questo tipo di pane si prepara un po' ovunque ai quattro angoli dell'isola, quello di Tiana (Nuoro) è sicuramente particolare. 

Infatti è più di un "semplice pane" cui siano stati aggiunti ciccioli all'impasto: si tratta di una sorta di tasca di pane, farcita con ciccioli e cipolla e chiusa con un grazioso cordone di pasta. Si chiama pizzuda cun gherdas ed è riconosciuto come piatto tipico. 




Lidia e Iolanda - due diverse generazioni, un'unica passione per le cose buone e la tradizione - vivono nel cuore di Tiana e cuociono questo e altri pani in un bellissimo forno a legna. 
E, rispettando un'altra tradizione importantissima, quella dell'ospitalità, condividono il frutto del loro impegno.

Io sono una di questi fortunati ospiti.

No, non metterò la ricetta: credo sia impossibile riprodurre sa pizzuda cun gherdas in una normale casa cittadina. Infatti non ho nemmeno chiesto di spiegarmi come si fa, anche perché so che, se chiedessi, mi verrebbe risposto che farlo "è una cosa semplicissima"… 
Lo è, infatti, se si ha buona volontà, vocazione, tempo da dedicare alla casa e alla cucina, accesso a materie prime sceltissime e prodotte in modo tradizionale. Basta?



Torta (per oggi) salata di riso e zucca



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Zucca gialla. A me piace molto ed è molto versatile: si può usare per minestre, risotti, come contorno e persino come dolce.
Oggi ho provato a declinarla in una specie di torta salata che, pensandoci bene, domani potrebbe essere una torta dolce.
Basta mettere zucchero invece di sale e cannella invece di aglio ed erba cipollina... Sì, sì, perché no?

Per una torta di 22 centimetri di diametro ho usato:

100 g di riso per risotti (Carnaroli)
400 g circa di polpa di zucca pulita
3 uova
1 spicchio d’aglio
1 cucchiaio di yogurt (tipo greco)
burro
sale e pepe
formaggio grattugiato

Cuocere il riso in acqua leggermente salata con l’aggiunta di un piccolo pezzo di burro.
Cuocere la zucca in poca acqua leggermente salata con uno spicchio d’aglio a pezzetti (o intero, se poi volete toglierlo).
Sbattere le uova con una forchetta con yogurt, sale e pepe.

Imburrare generosamente una tortiera del tipo apribile e portare il forno a 180°.
Tagliuzzare l’erba cipollina con la forbice da cucina.

Scolare la zucca e schiacciarla con la forchetta, unire il riso a sua volta scolato e lasciar intiepidire. Unire poi le uova sbattute e l’erba cipollina.

Versare il tutto nella tortiera e cuocere circa 20 minuti, prima nella parte bassa del forno - regolato sulla modalità ventilato - , poi in quella alta. Se il vostro forno non è ventilato, lasciatela sul ripiano centrale e andrà benissimo ugualmente, ma tenetela d’occhio.




Al termine della cottura lasciare la torta per dieci minuti nel forno spento, con lo sportello aperto. Sfornare, sformare, cospargere di formaggio grattugiato (pecorino) e servire.



Basta una minestra per avere un (altro) giorno felice. Ovvero fregula fatta in casa con fagioli rari



Sono fortunata: ho amici che mi regalano cose. E non cose qualsiasi.
Sono piccoline e povere, ma hanno un valore aggiunto immenso: l’amore e la cura con cui sono fatte, più un pizzico di impegno personale e sociale che spinge a fare la scelta di utilizzare solo materie prime prodotte localmente.

Ecco qui la fregula (su succu, su pistizzone; chiamatela come preferite) di Gian Luca:



Ed ecco qui un’altra cosa bella: fagioli piccoli e ormai rari della varietà cara 'e monza biancu, dei quali si occupa 
l’Università di Sassari attraverso il suo Centro per la conservazione e valorizzazione della biodiversità vegetale insieme a diverse altre qualità di leguminose dai nomi bellissimi.


Lo sforzo che ho fatto io è stato davvero minimo: mettere insieme due cose buone e ricavarne un pranzo casalingo che ci ha fatto felici.

Fregula casalinga
fagioli cara 'e monza
pomodori secchi
pomodori freschi
sedano, carota e cipolla
aglio
basilico fresco
olio, sale e pepe

Precuocere i fagioli in acqua leggerissimamente salata con un pezzetto di sedano, una carotina e una guaina di cipolla per circa venticinque minuti.

In una casseruola scaldare dell’olio e aggiungere aglio e pomodori secchi tritati insieme.

Poco dopo unire pomodori freschi frullati velocemente interi - buccia e semi compresi - e acqua in quantità pari al volume dei pomodori. Lasciar sobbollire questa sorta di brodo di pomodori per circa 10 minuti.

Quindi unire i fagioli con almeno un paio di mestoli della loro acqua di cottura e lasciar cuocere coperto per circa 10 minuti.

In acqua salata lessare la fregula per circa 5 minuti, quindi unirla alla minestra di fagioli e pomodori e cuocere altri 5 minuti. Se preferite potete lessare la fregula nella stessa acqua dei fagioli, ma tenete presente che in quel caso si tingerà di scuro: buona ugualmente, ma meno bella da vedere.



Regolare di sale e pepe e, prima di portare a tavola, aggiungere un filo di olio crudo e del basilico fresco spezzettato (il mio  - coltivato sul terrazzo - è ancora bellissimo!)



Ispirazione papassini, ma alla fine sono un'altra cosa



Due novembre: la tradizione reclama i papassini (dolcetti di frutta secca impastati con lo strutto e spesso ricoperti da una glassa di zucchero) e molti rispondono. Ognuno con la sua ricetta di famiglia, con varianti minime - ma significative -  e segreti tramandati di madri in figlie. Da qualche anno mi riprometto di provare anche io a farli, colleziono ricette, comparo, studio, ma non mi decido mai. 

Quest'anno ho preso la decisone finale: non farò i papassini. Non ne ho voglia, c'è chi li fa molto meglio di me (ed è così gentile da regalarmeli!) e, in fondo, se proprio proprio devo scegliere, preferisco gli amaretti.

Però i biscotti li faccio ugualmente. Inspirational papassini...

300 g di semola di grano duro
220 g di frutta secca mista sgusciata (mandorle, noci e nocciole), ma non sbucciata
150 g di zucchero grezzo di canna
80 g di strutto
1 uovo intero + 1 tuorlo
2 cucchiai di Moscato di Sorso (o altro vino dolce, tipo un passito)
1 bustina di lievito in polvere
1 pizzico di sale



Setacciare la semola, mischiarla allo zucchero e al lievito e formare la fontana sul piano di lavoro. Mescolare in una ciotolina l'uovo e il tuorlo, il Moscato e il pizzico di sale.
Spezzettare la frutta secca con un coltello pesante.

Preparare la farina e lo zucchero sulla spianatoia, unire lo strutto e lavorare con le dita per avere dapprima un mucchietto di briciole. Unire poi le uova sbattute con il Moscato e impastare fino a che l'impasto non sia omogeneo e liscio.

A questo punto unire tutta la frutta secca, lavorare ancora un po' perché si distribuisca uniformemente nell'impasto, quindi formare una palla, avvolgerla in uno strofinaccio e riporla in frigorifero.

Accendere il forno e portarlo a 180°, foderare la placca con cartaforno.

Riprendere la pasta e stenderla con il matterello sul ripiano infarinato cercando di mantenere un'altezza uniforme di 1 centimetro (si possono mettere due fermi - vanno bene anche i manici di due cucchiai di legno - ai lati della pasta e appoggiarci il matterello). Tagliare i biscotti della forma desiderata. Io ho ricavato dei grossi biscotti rettangolari, ma vanno bene anche tondi, o lunghi e stretti, o quadrati.

Sistemare i biscotti distanziati sulla placca del forno e cuocere 20 minuti esatti. Spegnere il forno, aprire leggermente lo sportello e attendere circa 10 minuti, quindi estrarli  e farli raffreddare completamente su una griglia.

Provati la mattina nel cappuccino: son piaciuti. Alla sera esperimento: li ho pucciati in quel nettare che è il Vermentino passito (16 gradi di sole alcolico…) e sono anche più buoni. Mi dicono che vanno bene anche con il tè.