Un pranzo quasi in bianco e nero. Come sposare i calamari con le beluga


 
Un calamaro!
Se devo scegliere tra un'orata (ops!) e un calamaro, o una seppia, o un polpo… non ho dubbi: metto da parte il pesce e mi getto sul cefalopode di turno.
Se poi è appena uscito da uno dei mari più belli del mondo (quello sotto casa mia, per intenderci), beh, che dire, lo trasformo subito nel pranzo di oggi.

Un grande calamaro (o due più piccoli) molto fresco
lenticchie beluga (circa 80 grammi a testa)
aglio, olio evo
sale, pepe, peperoncino
sedano, carota, cipolla, un foglia d'alloro




Pulire il calamaro (eliminare la penna, il becco, gli occhi e fare attenzione alla sacca dell'inchiostro e, se l'animale è molto grande, eliminare anche la "pelle", altrimenti non importa). Tagliarlo a striscioline.

Lessare le lenticchie in acqua con una carotina, qualche guaina di cipolla, un pezzetto di sedano, mezza foglia di alloro, un pochino d'olio e due grani di sale grosso.

In una padella larga e bassa scaldare dell'olio e aggiungere uno spicchio d'aglio tritato, o passato attraverso l'apposito spremiaglio.

Gettarvi i pezzi di calamaro e farli saltare a fuoco vivace. Dopo pochi minuti abbassare il fuoco, chiudere con un coperchio e lasciar cuocere. Assaggiare e spegnere quando il grado di cottura sarà quello giusto (ognuno ha i suoi gusti, in fatto di calamari)

Le lenticchie saranno pronte in meno di mezz'ora. Scolarle eliminando le verdurine e unirle al calamaro; mantecare per non più di due minuti a fuoco vivace, regolare di sale, pepe e peperoncino.




Ecco fatto. La ricetta è semplicissima e anche veloce. L'importante è il calamaro.


Se le lenticchie beluga vi affascinano, ma preferite una ricetta vegetariana, date un occhiata qui 








Una variante alla nocciola (insolito condimento per i culurgiones)


Oggi scrivo di una semplicissima variante di un condimento per i culurgiones già sperimentato in passato.

L'ho provata qualche sera fa a una cena tra amici appassionati (di culurgiones) e mi è molto piaciuta. Così oggi l'ho rifatta.


Burro di ottima qualità
erbe aromatiche fresche a piacere (io avevo mirto, maggiorana, menta, timo, prezzemolo, erba cipollina, rosmarino)
nocciole tostate del tipo Nocciola Piemonte Igp
sale, pepe bianco
fieno greco in polvere*
aglio

Con un certo anticipo togliere il burro dal frigorifero e tritare con la mezzaluna le erbe ben pulite e le nocciole; aggiungere un pizzico di sale, uno di pepe appena macinato e un pizzichino di fieno greco in polvere. Lavorare il burro con le erbe e rimettere il tutto in frigorifero per almeno un paio d'ore.

Mentre cuociono i culurgiones sciogliere il burro a bagnomaria con l'aggiunta di uno spicchio d'aglio (schiacciato con la lama di un coltello ma intero, così da poterlo recuperare).

Scolare delicatamente i culurgiones, disporli nei piatti e irrorarli con il condimento. Servire subito.

*Il fieno greco (Trigonella foenum-graecum) ha un odore molto particolare. Non a tutti piace. A me sì, ma, se appena appena non siete sicuri di apprezzarlo, lasciate perdere: rischiereste di rovinarvi un ottimo piatto di culurgiones. E questo non va niente bene!
 

Che passione! Ovvero: tallutzas in verde


Continuano gli esperimenti sulle tallutzas in "casa Orata". Chi non l'avesse letta, può recuperare la precedente ricetta proprio qui sopra (Oggi Tallutzas!).
Il verde è assolutamente il colore della primavera  e quindi oggi vi propongo un piatto di tallutzas tutte in verde.
Verdi le fave fresche - le primissime della stagione - ; verdi i pistacchi che vengono direttamente dalla Sicilia; verde la "muffa buona" del nostro fantastico formaggio di erborinato di capra.




Tallutzas
favette freschissime
formaggio erborinato di capra
pistacchi al naturale (non tostati né salati, ovviamente)
aglio
menta fresca
olio evo
pepe bianco
burro, latte
sale




Sminuzzare uno spicchio di aglio (o lasciarlo intero per recuperarlo in seguito, se non gradite il sapore) e scaldarlo in olio. Aggiungere le favette sbucciate e mondate. Farle saltare per un attimo nella padella, quindi bagnare con un po' di acqua mista a latte e farle stufare lentamente.

A metà cottura unire una manciata di pistacchi puliti e alcune foglie di menta. Completare la cottura, allontanare dal fuoco, ma mantenere al caldo.

Lessare le tallutzas in abbondante acqua salata.

Mentre la pasta cuoce trasferire le fave con tutto il loro intingolo nel bicchiere del frullatore, unire il formaggio erborinato a pezzetti, una piccolissima noce di burro e, solo se occorre, ancora un po' di latte (o, eventualmente, un paio di cucchiai di acqua di cottura della pasta) e frullare per ottenere una crema.
 



Scolare la pasta, condirla con la crema di fave e formaggio, completare con una spolverata di pepe bianco e, se è necessario, con un po' di sale. Mescolare e servire subito.

Oggi tallutzas!


Tallutzsas! Un nome bellissimo.



Mi piace chiamarli per nome e mi piace mangiarli questi "maccheroni" piatti e rotondi.
Si tratta di una pasta tipica della zona del Campidano (quella affascinante e fertilissima pianura che scivola fino a Cagliari) che si fa con semola di grano duro Cappelli, acqua, un pizzichino di sale e lievito. Per tradizione lievito madre, per comodità oggi anche lievito di birra; comunque lievito naturale.

Dall'impasto, ben lavorato e lasciato riposare, si ricava una sfoglia che viene ritagliata con degli stampi rotondi; oppure se ne formano delle palline che vengono abilmente appiattite sul palmo della mano. Chiaro che il secondo metodo è quello casalingo, che produce una pasta un po' più irregolare e callosa. Il diametro dei dischetti di pasta è comunque sui quattro, massimo cinque centimetri.

Come procurarsela? Beh… la cosa migliore è, ovviamente, fare una gita a Siddi e, magari, approfittare per concedersi un ottimo pranzo a S'Apposentu; altrimenti potrete trovare le tallutzas, prodotte in pochissimi laboratori artigianali, anche in alcuni negozi specializzati.

In ogni caso, essendo una pasta piuttosto rustica per natura, va benissimo abbinata a un sugo saporito. Io ho azzardato una contaminazione addirittura con l'Alto Adige.

Tallutzas
Speck Alto Adige Igp
ricotta fresca di pecora
cime di rapa
aglio
olio evo
sale, peperoncino



Ridurre una bella fetta di speck a dadini minuti.
Mondare un mazzetto di cime di rapa e tagliarle a striscioline fini.


Sminuzzare uno spicchio d'aglio e farlo scaldare in olio evo, aggiungere lo speck e le cime di rapa lavate (non sgocciolate) e far stufare. Se occorre, aggiungere un po' di acqua o di brodo vegetale.

Intanto setacciare la ricotta e lavorarla con un po' di olio, un pizzichino di peperoncino e uno di sale.

Lessare le tallutzas in abbondante acqua salata (pochi minuti), scolarle conservando un paio di cucchiai di acqua di cottura, irrorarle con un filo d'olio.

Riunire il sugo, la pasta con la sua acqua e la ricotta in un unico recipiente. Mescolare bene e servire subito.




Quasi una lasagna ai carciofi


Il carciofo: verdura, o, meglio, fiore di una pianta davvero singolare.
In Sardegna il carciofo è una coltura molto diffusa e pregiata, tanto che esiste anche la Dop "Carciofo spinoso di Sardegna", che speriamo venga sempre salvaguardata.
In ogni caso, io sono una di quelle che, pur vivendo da anni in mezzo ai carciofi, ancora li considera "esotici" e li tratta sempre con un certo cauto rispetto. Sarà che, per i miei gusti, se ne scarta troppo (pare in media oltre il 65% del peso), sarà che quando li cucino io mi paiono sempre crudi, sarà che quando li mangio cucinati da altri mi paiono sempre buonissimi… insomma, faccio fatica a considerarli una presenza normale nella mia dispensa.
Quando ci sono, però, cerco di ricavarne il meglio.




Carciofi freschissimi
aglio
olio

sale
pepe bianco
pasta tipo lasagne 

Da comperare già pronta, oppure da fare in casa al momento con:
1. semola di grano duro acqua tiepida, sale e olio;
2. oppure con farina di grano tenero, uova, sale e olio
(l'impasto va lasciato riposare per almeno mezz'ora in frigorifero e poi steso con l'aiuto di una macchinetta tirasfoglia)


burro
farina bianca
latte
sale, noce moscata
pecorino grattugiato

Mondare i carciofi (gambi compresi) e ridurli  a striscioline sottili da gettare subito in una bacinella con acqua molto fredda acidulata con succo di limone o aceto bianco.

Scaldare uno spicchio d'aglio tritato in olio evo, quindi gettarvi i carciofi sciacquati e gocciolanti e farli stufare a fuoco dolcissimo fino a che saranno teneri. Se occorre, aggiungere pochissima acqua. Salare e pepare solo alla fine.

Preparare la besciamella. Far fondere in un pentolino il burro aromatizzato con un po' di noce moscata e un pizzico di sale. Allontanare il pentolino dal fuoco e aggiungere
poco per volta la farina setacciata e poi il latte tiepido, a filo, sempre mescolando per evitare grumi. Rimettere sul fuoco e far addensare mescolando continuamente.
Per la besciamella le proporzioni sono 50 grammi di burro, 50 grammi di farina e mezzo litro di latte. Se ve ne servisse di più basterà raddoppiare le dosi, triplicarle e così via…

Se avete la pasta per lasagne già pronta, è il momento di lessarla molto al dente in abbondante acqua bollente salata nella quale avrete aggiunto un po' d'olio. Man mano che i pezzi di pasta sono pronti stenderli su uno strofinaccio pulito.

Rivestire una pirofila o tortiera con un foglio di carta da forno bagnata e ben strizzata (in questo modo sarà più malleabile e aderirà meglio al recipiente), quindi distendere un primo strato di pasta facendo in modo che salga un po' sui bordi. Versare metà dei carciofi, ricoprire con metà della besciamella. Fare un secondo strato di pasta, versare l'altra metà dei carciofi e quasi tutta la besciamella. Chiudere con un terzo strato di pasta, spalmare la superficie con la besciamella rimanente e quindi cospargere il tutto con una generosa manciata di pecorino grattugiato

Inserire nel forno giù caldo e cuocere per circa 20 minuti.


Se avete utilizzato una bella pirofila potrete portarla direttamente in tavola, altrimenti sarà facile sformare questa lasagna afferrando saldamente i lembi della carta da forno per trasferirla su un piatto da portata.


Muggini, bietole e patate


Mi hanno regalato 5 giovani muggini. In genere non ne vado pazza; il loro sapore un po' fangoso mi lascia perplessa e finisce che ho bisogno di condirli molto, per riuscire a mangiarli. 

Ho provato a sollevare queste obiezioni… ma il donatore ha assicurato che questi suoi pesci giammai avrebbero avuto sapore di fango e che dovevo provarli.


Bene. I primi due sono finiti immediatamente in un court bouillon senza spanciarli, senza nemmeno sciacquarli. Erano ottimi, conditi con un filo di olio evo e niente altro. Mi avevano convinto in pieno.
Oggi ho voluto abbinarli a delle verdure.




Un muggine per commensale
limone, cipolla e mirto
patate
bietole da costa
pomodori secchi
aglio
porro
olio, sale, peperoncino

Cuocere i pesci interi in un court bouillon aromatizzato con qualche anello di cipolla, qualche fettina di limone e qualche foglia di mirto (o alloro fresco, se preferite).

Quindi pulirli e ricavarne tutta la polpa possibile (non è difficile con il muggine, poiché le spine si individuano facilmente, ma inforcate ugualmente gli occhiali e siate molto accurati!).

Mondare le bietole (coste) e sbucciare le patate; fare le prime a pezzi e a fette piuttosto spesse le seconde.

Scaldare dell'olio evo in padella, quindi unire un trito di aglio, rondelle di porro, pomodori secchi. Far scaldare, quindi unire le verdure. Iniziare la cottura e, quando serve, aggiungere un po' di brodo vegetale, se ne avete, o della semplice acqua e lasciar stufare a fuoco dolcissimo.

Quando le verdure saranno pronte (le fette di patata dovranno essere morbide, ma non disfarsi) aggiungere la polpa di pesce, condire con olio e peperoncino ed eventualmente un po' di sale.

Lasciar insaporire un paio di minuti  chiudendo con il coperchio, quindi servire.




Questa non è una ricetta, ma una storia: Maria e la sua chitarra d'Abruzzo


Era il XX secolo. Il destino portava nella fredda (allora sì!) e nebbiosa (eccome!) città del nord delle persone come Maria. 
Maria veniva dall'Abruzzo; non da una città (che in confronto a Milano sarebbe stata comunque ben piccola), ma da un paesino di poche anime della montagna. Era relativamente giovane; oggi la definiremmo ragazza, ma, paragonata a mia madre che aveva solo cinque anni meno di lei, pareva vecchia. Antica, più che altro.

Piccola (in prima elementare ero alta quasi come lei) e scura, pettoruta e ricciuta, taciturna e spiccia. Il marito invece veniva dal Veneto, era molto più anziano e molto poco portato per la gastronomia, che non fosse il mangiare di sussistenza. Non ho idea di come e perché si fossero sposati; in comune avevano solo l'essere brave persone di una volta…. Mah, forse fu un matrimonio di convenienza. 


Maria cucinava, cucinava, cucinava. Le piaceva tantissimo? Non sapeva fare altro? Combatteva la nostalgia? Allora non lo sapevo, pensarci oggi non ha più senso. Una cosa la sapevo: aveva un bellissimo strumento di legno con i fili che mi ammaliava e, per vederla al lavoro, schiacciavo il naso contro il vetro della sua finestra e sgranavo gli occhi.

Ogni tanto mi faceva entrare e mi faceva sedere lì, su una di quelle orribili sediette di formica che
negli anni '60 hanno arredato le cucine "moderne" degli italiani, e mi parlava con la sua lingua della montagna (cucinando si dimenticava di parlare italiano): ecco ora fai così, poi cosà, poi attenta a questo, poi aspetta e poi ecco: usi la chitarra. 

Quanto mi piaceva! Anche più della macchinetta Imperia per la sfoglia che aveva la mia nonna, perché la chitarra era di legno e aveva il sapore di qualcosa di antico, di un qualcosa che esisteva da sempre.
 

Mille volte avrei potuto comperare quello strumento: la chitarra. In Abruzzo, per esempio, quando mi rimpinzavo di arrosticini e consumavo chilometri di pellicola per immortalare le stupefacenti chiese romaniche e i campi di fiordalisi! Ma non l'ho mai fatto, chissà perché. Forse pensavo che, tanto, non li avrei mai fatti gli spaghetti come quelli della Maria, che uscivano da quelle manine piccole e segnate, accompagnati da quella litania in dialetto e dall'ondeggiare del grosso seno stretto dentro il grembiule. 

Ora, che sono ben più vecchia di quanto era lei allora e che sono anche io - sebbene per motivi ben diversi - lontana dal posto dove sono nata… l'ho comprata la chitarra! 
Bella, di legno, con i fili d'acciaio (saranno stati d'acciaio i suoi fili? mi sa di no). 
L'ho rimirata per un po'. Ci ho ricamato sopra con la nostalgia. Poi l'ho inaugurata.