Isalata con cavolo nero, ceci e arancia

 

Al volo. Un’altra insalata con la mia passione: il cavolo nero! Quattro ingredienti e via.

 

Come sempre per le insalate non indico le quantità: fate a occhio.

 

Cavolo nero

ravanelli

ceci

arance

 


olio extravergine di oliva

sale

aceto di mele

semi di sesamo

 

Mondate il cavolo nero scegliendo le foglie più piccole: eliminate solo la parte finale della costa e tagliate il resto a striscioline il più sottili possibile. Per il mio solito discorsetto sulle coste del cavolo nero scendete di qualche post. Lavate bene e asciugate tamponando con un telo pulito.

 

Mondate, lavate e affettate i ravanelli con una mandolina, o, in ogni caso, il più sottile possibile.

 

Se non avete voglia di cuocere i ceci in sola acqua per circa un’ora dopo averli lasciati in ammollo per almeno 12 ore (ma anche 24), potete usare dei ceci pronti, ma che siano di ottima qualità. Sgocciolateli e fateli un po’ asciugare.

 

Prendete l’arancia (o le arance), pelatela al vivo, poi tagliatela a pezzettini recuperando tutto il succo.

 

Mescolate il succo con olio, sale, pochissimo aceto di mele e semi di sesamo.

 


Componete l’insalata direttamente nei piatti: cavolo nero, poi ravanelli e ceci, arancia e infine il condimento a pioggia.


Torta salata al profumo di za’atar

 

Torta salata: un passepartout che risolve cena, merenda, festa, picnic, invito, aperitivo e probabilmente anche altre situazioni. Realizzare a casa la base, o il “guscio”, fatto di pasta brisée o di pie crust (la versione anglosassone della brisée) è facilissimo, non richiede impastatrici o particolari abilità e consente interessanti personalizzazioni. Vuoi mettere rispetto alla triste pasta già pronta del supermercato? Manca il tempo? Davvero? Sempre? Non vi spetta mai un giorno libero, non capitano mai una domenica piovosa o una sera in cui in TV danno solo repliche?

 

In questa ricetta la personalizzazione sta nell’aggiunta di za’atar nell’impasto, realizzato mescolando farine di grano tenero e semola: un profumo e un sapore eccezionali.

 


 

Torta salata con pasta allo za’atar (stampo da 24 centimetri)

 

150 g di farina di grano tenero tipo 0

50 g di semola finissima di grano duro

100 g di burro fresco

1 cucchiaio da minestra di aceto di mele

1 cucchiaino da tè di za’atar

1 pizzicone di sale

acqua q.b.

 

10 foglie piccole di cavolo nero

10 foglie di bietole dalla costa rossa

4 cipollotti

4 funghi champignon o altri coltivati

olio extravergine di oliva

sale

pepe bianco

 

2 uova

2 cucchiai di latte

2 cucchiai di formaggio semistagionato grattugiato

1 cucchiaio da te di semi di sesamo

 

Togliete il panetto di burro dal frigorifero, tagliatelo a dadini e fatelo ammorbidire.

 

In una ciotola di metallo riunite la farina e la semola setacciate, aggiungete il sale e lo za’atar e poi il burro. Lavorate con la punta delle dita fino a formare delle briciole piuttosto fini.

 

Aggiungete l’aceto e pochissima acqua, quindi impastate. Aggiungete altra acqua solo se serve per avere una massa liscia ed elastica da lavorare con le mani il meno possibile. Formate una palla e conservatela in frigorifero, nella stessa ciotola.

 

Mondate e lavate le verdure (non occorre togliere le coste delle foglie del cavolo nero a meno che non siano particolarmente coriacee). Non sgocciolatele e adagiatele in una padella larga e bassa che abbia il suo coperchio.

 

Procedete anche con i funghi: mondate, lavate e, in questo caso, tagliate a spicchi. Teneteli un attimo da parte.

 

Condite le verdure con un filo d’olio, sale e pepe macinato al momento, chiudete con il coperchio e fate stufare a fuoco dolcissimo per qualche minuto. Aggiungete ora anche i funghi e, se occorre, aggiungete un pochino d’acqua. Fate raffreddare.

 

Nel frattempo battete le uova con il latte e un pizzico di sale. Aggiungete anche i semi di sesamo. Grattugiate il formaggio con una grattugia a denti larghi.

 

Imburrate e infarinate una teglia da crostata da 24 centimetri, meglio se con il fondo mobile. Portate il forno a 180° in modalità ventilata.

 

Riprendete la pasta, adagiatela su un foglio di carta forno, copritela con un foglio di pellicola e, con un matterello, tiratela in una forma tonda, sufficiente per coprire fondo e bordi della teglia. Sistematela dentro la teglia, pareggiate con un coltello e pizzicate leggermente i bordi. La pasta sarà piuttosto sottile.

 

Adagiate ora le verdure nel guscio di pasta a casaccio, a spirale, a settori per colore, come vi pare.

 

Versate il battuto di uova sopra le verdure, completate con il formaggio.

 


Infornate sul ripiano centrale e cuocete 10 minuti. Ora estraete la tortiera e coprite la torta con un foglio di alluminio, rimettetela in forno e continuate a cuocere per altri 10 minuti, ma spostandola sul ripiano più basso (ma non a contatto con in fondo del forno!).

 

Eliminate il foglio di alluminio, cuocete altri 5 minuti, poi sfornate.

 

Servite calda o tiepida, ma anche fredda è ottima.

 

 

 


Insalata invernale con cavolo nero e bottarga

 

Un’altra. Sì, un’altra insalata invernale. Metteteci tutto! Arrostite, tagliate, lessate, mescolate: ne vale la pena.

 

Come sempre per le insalate non indico le quantità – tranne che per le uova: direi che una per ciascuno basta, ma se avete fame mettetene due – ma vi raccomando di usare quello che avete, nelle quantità che avete. Non sprecate, non lasciate che le verdure muoiano in frigorifero dopo aver fatto lo sforzo di andare al mercatino e di tornare trascinandovi la borsa con la spesa…

 


 

 

Cavolo nero

carote

cipollotti

funghi coltivati (cardoncelli)

uova

mela

bottarga di muggine a fette

 

yogurt intero

semi di sesamo

fiori di calendula

miscela di spezie baharat*

 

olio

sale

pepe

melassa di melagrana

timo fresco

prezzemolo

 

succo di limone

 

Mondate il cavolo nero: scegliete le foglie più piccole e tenere e lavatele bene. Asciugatele con un telo. Eliminate solo la parte finale della costa, poi tagliate il resto in striscioline fini fini e cominciate e distribuirle nei piatti.

 

Come ho già scritto qui sul blog altre volte non occorre eliminare completamente la costa centrale delle foglie di cavolo nero (a meno che, ovvio, non abbiate grossi problemi di masticazione) perché è buonissima e sarebbe davvero un inutile spreco. Se proprio proprio non ce la fate a mangiarla cruda, almeno tenetela da parte e, alla prima occasione, usatela per una minestra.

 

Mondate e lavate le carote e i cipollotti. Tagliate entrambi per il lungo, divideteli in pezzi non troppo piccoli e sistemate il tutto in una padella in un solo strato. Aggiungete un po’ d’olio e fate cuocere a fuoco dolcissimo con il coperchio.

 

Mondate e lavate i funghi coltivati. Tagliateli a spicchi e uniteli – aggiungendo ancora un po’ d’olio – a carote e cipollotti sfruttando lo spazio rimasto sul fondo della padella.

 

Mondate e sbucciate la mela, poi tagliatela a dadini di circa 1 centimetro di lato. Bagnate con un po’ di succo di limone affinché la polpa non annerisca.

 

Fate rassodare le uova (13 minuti dal bollore), raffreddatele, sgusciatele e tagliatele a metà.

 

In una ciotola mescolate lo yogurt con sale, pepe, olio extravergine di oliva, melassa di melagrana, timo e prezzemolo tritati al momento. Potete, a scelta, aggiungere un po’ di scorza di limone grattugiata, o una puntina di noce moscata, se vi piace.

 

Non appena carote, cipollotti e funghi saranno cotti, salateli, pepateli a piacere e insaporiteli con un pizzico(ne) di baharat. Fateli saltare ancora un attimo in padella, poi distribuite nei piatti.

 

Ora aggiungete i dadini di mela, poi appoggiate le uova e infine fateci cadere sopra le fettine di bottarga di muggine appena tagliate con una mandolina (il più fini possibile).

 

Condite tutto con la salsa di yogurt e completate con filo d’olio extravergine e semi di sesamo a pioggia. 

 

* Il baharat è una miscela di spezie che, in genere, viene definita “molto piccante”. Non necessariamente: come accade per tutte le miscele di spezie ne esistono moltissime versioni. Il baharat “standard” comprende noce moscata, pepe, chiodi di garofano, cannella, cardamomo, paprica, peperoncino, aglio e cumino con piccole varianti. L’origine di questa miscela – il cui nome baharat (anche nella versione biharat), in arabo significa semplicemente spezie – viene collocata in Persia (Iran), ma è usata più o meno in tutti i Paesi arabi e nel Mgreb. Più usata per le carni, secondo me (semplice opinione personale) dà invece il meglio di sé con le verdure, soprattutto se ci sono di mezzo le carote.


 

 

 

Bundt cake alla ricotta e pasta di mandorle

 

Regalo di Natale ancora da aprire a fine febbraio? Proprio. E si tratta pure di un regalo gastronomico, inserito in un graditissimo cesto di ghiottonerie: un panetto di pasta di mandorle confezionato sottovuoto, pronto per essere… addentato. O, certo, usato per dolci e biscotti. Non avendo in questo momento l’estro di modellare e dipingere uno di quei deliziosi agnellini pasquali tipici della tradizione siciliana, più prosaicamente ho usato il prezioso dono per aggiungere verve a una torta di ricotta.

 

Per esagerare ho cotto la torta in uno stampo da bundt cake, giusto per fare un po’ di scena. Rimane comunque una torta da colazione o merenda semplicissima da fare e, se non avete lo stampo scanalato come quello che ho usato io, potete tranquillamente usare un normale stampo da ciambella o anche uno tondo da 22 centimetri. In quest’ultimo caso dopo i 40 minuti di cottura controllate con uno stecchino: potrebbe volerci un pochino più di tempo per la cottura perfetta.

 


Per una torta da 22 centimetri

 

300 g di ricotta di pecora freschissima

200 g di farina di grano tenero tipo 0

150 g di zucchero di canna

100 g di burro fresco + una piccola noce

100 g di pasta di mandorle

4 uova

15 g di lievito per dolci

1 manciata di piccole gocce di cioccolato

 

cacao amaro in polvere

 

aceto di mele

 

Fondete la piccola noce di burro in più e, con un pennello, imburrate accuratamente la tortiera, poi infarinatela e scuotete via l’eccesso di farina.

 

Accendete il forno e portatelo a 180° in modalità non-ventilato.

 

In una ciotola montate – anche con una frusta elettrica – i tuorli con lo zucchero. Tenete da parte gli albumi a temperatura ambiente.

 

Aggiungete ora il burro morbidissimo, ma non sciolto, e mescolate con una spatola di silicone. Aggiungete la ricotta accuratamente setacciata e incorporatela al composto.

 

Passate la pasta di mandorle al mixer azionandolo alla massima velocità per pochi secondi una o due volte per ridurla in briciole grossolane. Potete farlo anche con una forchetta e un po’ di pazienza, se non avete voglia di sporcare il mixer. Aggiungetela all’impasto.

 

Ora unite anche la farina setacciandola insieme al lievito, sempre lavorando con la spatola di silicone. Unite infine le gocce di cioccolato.

 


Aggiungete un cucchiaino da caffè scarso di aceto di mele agli albumi e montateli a neve ben ferma.

 

Unite gli albumi al composto mescolando delicatamente dall’alto in basso. Versate nella tortiera e infornate sul ripiano centrale.

 

Cuocete per 40 minuti. Aprite leggermente la porta del forno e fate raffreddare la torta lì dentro quasi completamente, soprattutto se avete usato uno stampo scanalato.

 

Sformate la vostra torta su un piatto e cospargetele (se vi piace) con del cacao amaro in polvere passandolo attraverso un setaccino.

 

Più buona il giorno dopo, se ci arriva. Conservatela comunque ben avvolta in pellicola per alimenti o in un porta-torta di dimensioni adeguate e ben chiuso.

 


Involtini di verza semplicissimi

 

Come vale per più o meno quasi tutte le ricette casalinghe, domestiche, comuni… chiamatele come volete, per gli involtini di verza esistono innumerevoli ricette; se digitate involtini di verza su Google le occorrenze trovate saranno oltre trecentomila. 

 

Quindi tutte le varianti sono lecite e questa è una delle smillanta. Semplicissima, con gli ingredienti ridotti al minimo e di assoluta facilità di esecuzione. Indico le quantità per un piatto unico, ovvero tre involtini a testa; se preferite servire questi involtini come secondo pansatene solo due per ciascuno; uno solo invece se lo servite come antipasto.

 

Unica cosa: assicuratevi la complicità del vostro salumiere perché le fette di (un ottimo) prosciutto cotto siano tagliate del giusto spessore e che abbiano la giusta venatura di grasso, che è fondamentale per dare sapore al piatto. Importante anche il formaggio: io ho usato un giustamente puzzolente Taleggio Dop, ma potete usare del formaggio di capra, o altro formaggio bello robusto e di pasta morbida e cremosa.

 


Per 4 persone (piatto unico)

 

12 foglie freschissime e grandi di verza

12 fette di prosciutto cotto, spesse ma non troppo (vedi sopra)

4 fette di Taleggio Dop

1 cipolla bionda

1 spicchio d’aglio

olio extravergine di oliva

pepe bianco

prezzemolo fresco

 

aceto di mele

vino bianco secco (facoltativo)

 

Mondate e lavate le foglie di verza, che avrete scelto tra le più grandi, ma non tra le più esterne della verza intera. Usate una casseruola bassa dal fondo spesso, fateci bollire dell’acqua leggermente acidulata con l’aceto di mele, ma non salata, poi adagiatevi le foglie di verza e fatele lessare “al dente”. Scolatele e tenetele da parte ad asciugare e raffreddare stese su un canovaccio.

 

Mondate cipolla e aglio e tritate tutto con il coltello. Tagliate ogni fetta di taleggio in 3 parti per ottenere dei “bastoncini”.

 

Tritate al coltello (o con la mezzaluna) il prezzemolo.

 

Appena sono fredde riprendete le foglie di verza; stendetene una per volta sul tagliere, posateci una fetta di prosciutto, aggiungete il Taleggio e un pizzico di prezzemolo. Avvolgete la foglia rimboccando i margini e chiudete l’involtino con un paio di stuzzicadenti.

 

Nella medesima casseruola di prima scaldate dell’olio, aggiungete il trito di cipolla e aglio e un po’ di pepe bianco (il sale non serve), bagnate con del vino bianco secco (se vi piace) e fate stufare per qualche minuto.  

 


A questo punto adagiate gli involtini nella casseruola, stretti stretti, chiudete con un coperchio e cuocete per una decina di minuti a fuoco dolcissimo, frapponendo, se occorre, una retina spargifiamma.

 

Servite gli involtini caldissimi, con il loro intingolo.


Rape agrodolci in conserva (II)

 

 

Una ricetta per una deliziosa conserva con le rape che risale - qui, nell’archivio del blog - al 2017, ispirata a un bellissimo libro di Guido Tommasi Editore che si intitola La nuova cucina del Nord. Nord inteso come Paesi scandinavi e su di lì. Un procedimento semplicissimo e a prova di principiante, che si presta ad alcune varianti. Questa volta ho infatti aggiunto, oltre alla senape e al pepe rosa, alcune bacche di pepe di Tasmania con un risultato davvero sorprendente. Provare per credere.

 

Il pepe di Tasmania è la bacca piuttosto rara e pregiata della Tasmania lanceolata, una pianta sempreverde della famiglia delle Winteracee, che ha corteccia, foglie e frutti aromatici ed è originaria e diffusa in quella che viene definita ecozona australasiana (Australia, Tasmania, Nuova Zelanda, ma anche Micronesia, Melanesia e via navigando). Non è quindi un pepe botanicamente parlando, ma ha caratteristiche organolettiche molto simili (un po’ come il pepe di Sichuan di cui abbiamo parlato qui). Ha un sapore piccante, ma nello stesso tempo dolce e floreale e spiccate proprietà antisettiche e antimicrobiche. La rarità del pepe di Tasmania sta nel fatto che le piante di Tasmania lanceolata non sono coltivate, ma crescono spontanee nella foresta pluviale e che le bacche grandi e dal colore nero violaceo vanno raccolte a mano e poi fatte essiccare.

 

In Australia, dove viene chiamato anche Mountain pepper, è molto utilizzato, in particolare per aromatizzare le carni, compresa quella di canguro ed emu; nel Sud-est asiatico si abbina al latte di cocco sia in ricette dolci, sia salate. In Giappone a volte viene aggiunto nella salsa wasabi. In genere si pesta nel mortaio al momento di utilizzarlo evitando di farlo cuocere e si usa anche nelle macedonie di frutta fresca o nel gelato. Sorprendentemente, nel 1926 alcune piante furono introdotte in Gran Bretagna dove attecchirono, in particolare in Cornovaglia, dove la povera Tasmania lanceolata può effettivamente contare sul clima piovoso, se non proprio sull’aria degli antipodi. Quindi bacche e foglie – non per nulla il nome locale è Cornish Pepper Leaf – compaiono come ingrediente in alcuni piatti “tradizionali” di questa zona a sud-ovest del Regno Unito. Le bacche però non hanno lo stesso spiccato potere aromatico e vengono a volte utilizzate solo per colorare salse e creme di rosa.

 

Detto questo, il pepe di Tasmania ha sì un costo elevato, maggiore di quasi tutti gli altri tipi di pepe o falso pepe, ma non proibitivo: 100 grammi costano circa 40 euro (e 100 grammi sono parecchi per una spezia).

 

Comunque… questo tipo di conserva è adatto anche per i ravanelli e per le barbabietole seguendo l’identico procedimento.

 


 

Per 1 barattolo da ½ litro

 

3 rape bianche di media grandezza

150 ml di aceto di mele

100 ml di acqua

35 g di zucchero di canna

1 cucchiaino da tè di sale fino

1 cucchiaino da tè di semi di senape

1 cucchiaino da tè di bacche di pepe rosa

10 bacche di pepe di Tasmania

 

Mondate le rape eliminando le foglie e uno strato sottilissimo di buccia. Tagliatele a fette dello spessore di un paio di millimetri, possibilmente con una mandolina, e sistematele in un barattolo a chiusura ermetica ben lavato con acqua bollente e ben asciugato.

 

In un pentolino scaldate i semi di senape fino a che non si comincerà a sentirne il profumo in modo deciso. Attenzione: muovete continuamente il pentolino per non rischiare di surriscaldare troppo i semi.

 

Mescolate acqua, aceto di mele, sale e zucchero e versare il tutto nel pentolino, scaldate fino al punto in cui il liquido comincerà a sobbollire e sale e zucchero saranno perfettamente sciolti. Allontanate dal fuoco, aggiungete il pepe rosa e il pepe di Tasmania e versate il liquido bollente sulle rape.

 

Chiudete immediatamente il barattolo e lasciate raffreddare.

 


Conservate in frigorifero per almeno una settimana prima di gustare le vostre rape con salumi – come la testa in cassetta che vedete in fotografia – o formaggi.

 

 

 

Tortine con farina di mais e nocciole

 

Per queste tortine monoporzione l’ispirazione viene dall’Amor polenta, ovvero l’arcinoto dolce di Varese, nato negli anni Trenta del secolo scorso. Qui però la farina di mais non è il fioretto, ma la normale farina per polenta un po’ grossolana (me ne era avanzata un po’…). E poi ci sono le nocciole, che, secondo me, hanno un sapore che sposa perfettamente con la farina di mais.

 

Sono semplicissime da fare; basta scegliere bene gli ingredienti e seguire i passaggi. Importante è la pomata di burro e zucchero. Ecco: lo zucchero. Zucchero bianco se non avete di meglio, oppure zucchero di canna, ma qui ho voluto provare espressamente lo zucchero di barbabietola “grezzo” color ambra, perché – leggo sul sito del produttore – conserva parte del succo madre del vegetale e la melassa, che rimane attaccata ai cristalli durante il processo di lavorazione, ne determina il colore scuro. Non l’avevo ancora provato da quando è in commercio e, beh, ora l’ho fatto.

 

Se non avete voglia di tortine monoporzione, o non avete le mini-tortiere, cuocete l’impasto in uno stampo da plumcake.

 


Per 8 tortine di 8 centimetri di diametro

 

120 farina di grano tenero tipo 0 + un cucchiaio

80 g di farina di mais non troppo fine

50 g di farina di nocciole

150 g di burro + una piccola noce

120 g di zucchero scuro di barbabietola

2 uova intere

2 tuorli

4 cucchiai da minestra di panna fresca

8 g di lievito istantaneo

1 pizzicone di sale

 

Togliete con anticipo il burro dal frigorifero perché si ammorbidisca. Sciogliete quella piccola noce in più e usatela per spennellare con cura le piccole tortiere, soprattutto se sono scanalate. Poi infarinatele e scuotete via la farina in eccesso. Accendete il forno e portatelo – in modalità non-ventilato – a 180°.

 

Mescolate le tre farine insieme al lievito utilizzando una piccola frusta per eliminare accuratamente qualsiasi grumo (non sarà possibile setacciarla).

 

In una piccola ciotola battete leggermente tuorli e uova intere con la panna e il pizzicone di sale.

 

In una ciotola grande lavorate – con un po’ di pazienza e una spatola di silicone – il burro morbido con lo zucchero fino a ottenere una pomata liscia e omogenea. Ci vorrà un pochino di impegno, ma non cedete alla tentazione di accelerare il processo avvicinando la ciotola a una fonte di calore, perché rischiate di rovinare tutto!

 

Aggiungete poco per volta il battuto di uova e panna facendolo assorbire completamente.

 

Unite infine le farine a cucchiaiate, mescolate bene fino ad avere un composto omogeneo e senza grumi.

 

Ora sistemate due cucchiai di impasto in ogni stampino, livellatelo con il dorso di un cucchiaio e sbattendolo (delicatamente) sul piano di lavoro.

 

Infornate sul ripiano centrale del forno e cuocete 25 minuti.

 

Potete estrarre le tortine dal forno immediatamente, ma poi sistematele su una griglia perché si raffreddino; infine – dopo una ventina di minuti – potete toglierle dagli stampi e lasciarle raffreddare completamente prima di servirle. Così, semplici semplici, oppure con panna leggermente montata, oppure… con il cioccolato fuso, che tanto lo so che ci avevate già pensato.